WILL BARNET EN LOS ALMACENES

Esta mañana buscaba entre mis archivos una foto que perdí de vista hace tiempo y que estaba empeñado en reencontrar. No lo he conseguido, las fotos hoy en día se pierden entre carpetas de un ordenador como lo hacían antaño al fondo de una caja de cartón. Pero hoy, al fondo de la caja, entre carpetas y carpetas he vuelto a dar con “Four Generations”, una maravillosa pintura que Will Barnet realizó en 1984 y que, casi por azar, he podido ver varias veces en la Galería de Arte Moderno de los Museos Vaticanos.
A punto de cumplir cien años, Barnet sigue trabajando en su estudio neoyorkino. Con sus pinceles ha escrito parte de la historia del arte del último siglo. Mucho ha llovido desde que aquel muchacho de Boston llegara a Nueva York con diez dólares en el bolsillo y una cartera llena de paisajes marinos y retratos del gato de la familia. Barnet abrió aquella cartera en 1931, esperando sacar partido a una beca de la Art Students League. Quería ser un pintor americano moderno en una ciudad americana del siglo XX. A su llegada a la ciudad empezó a pintar los tristes y enojados rostros que, fruto de los años de la Depresión, podía ver en cada esquina. Sus primeros años estuvieron marcados por un crudo realismo social. Pero el trabajo de Barnet ha pasado por tantas fases como nuestra propia época. Su carrera artística empezó con los autorretratos que pintaba en el sótano de sus padres “a la manera de Rembrandt, con la luz por encima del hombro izquierdo”. Con los años, su obra fue transformándose desde el realismo social hacia la abstracción. A partir de 1945 y durante quince años produjo una obra extraordinaria basada en motivos biomórficos y geométricos. Incluso formó parte del grupo American Abstract Artists, devotos de la abstracción geométrica. En su mejor momento, caminó desde la abstracción pura a la figuración pura y vuelta a empezar. En los años sesenta, la figuración volvió a su trabajo y ha permanecido, con excepciones, hasta hoy en día.
Figuración y abstracción son parte de una misma pieza en su obra pictórica: “Mother and Child” (1961), un estilizado retrato de su mujer y su hija, integra los ángulos, curvas y bordes propios de su anterior pintura abstracta, pero con características de retrato personalizadas. En “Mujer leyendo” (1970), una de sus obras más reproducidas, vemos a una muchacha recostada en su cama leyendo un libro azul junto a su gato blanco. Barnet utiliza grandes campos de color planos, simplificando las formas y los detalles, en un trabajo a medio camino entre la figuración y las formas abstractas.
Pero si hay algo por lo que Barnet es mundialmente reconocido (o reconocible), es por sus grabados. Fue profesor de grabado de la Liga desde 1942 hasta 1979, donde tuvo como alumno a Mark Rothko, y consiguió elevar el grabado a una forma de arte de primer orden. Sus litografías, o las reproducciones de éstas, han llenado las paredes de miles de hogares en las últimas décadas. Tal vez, sin ser conscientes, hemos observado sus obras en numerosas ocasiones. El Metropolitan, el Guggenheim, el Whitney, todos tienen su trabajo aunque, por lo general, en el almacén: "Allí no se muestra a los artistas de mi naturaleza, el Whitney no ha mostrado mi trabajo en 30 años", comentaba el artista en una entrevista para The New York Times.
Me da por pensar en todos esos almacenes, en todas esas piezas perdidas entre cientos de números de catalogación, perfectamente conservadas y protegidas, pero que tal vez nunca podrán ver nuestros ojos. En Roma, las “cuatro generaciones” de Barnet aparecen casi solitarias, al girar una esquina, mientras pocas salas más allá la muchedumbre se agolpa alrededor de las pinturas de Rafael o Miguel Ángel. Tal vez sea mejor así. Tal vez los personajes de sus cuadros se sientan agradecidos de poder respirar en soledad, íntimos, con su halo de nostalgia como única compañía: "Todos los artistas tienen que tener algo que decir. Mi dedicación ha sido siempre a la humanidad. Expresar en mi arte la fragilidad de la vida, registrar los eventos que tienen lugar en tu vida, y las vidas de quienes te rodean. De esta manera se consigue una proyección de la persona hacia las generaciones futuras. La mayoría de la gente hace esto a través de sus hijos y nietos, pero un artista lo hace a través de su obra".

(En Facebook: Will Barnet)
Questa mattina cercavo fra i miei file una foto che da tempo ho perso di vista ed era determinato a riscoprire. Non sono riuscito, le foto vanno perse oggi giorno tra le cartelle di un computer come facevano una volta in fondo a una scatola di cartone. Ma oggi, nella parte inferiore della scatola, fra una ed altra cartella ho ritrovato "Four Generations", un meraviglioso dipinto che Will Barnet fece nel 1984 e che, quasi per caso, ho visto delle volte nella Galleria d'Arte Moderna dei Musei Vaticani.
Sul punto di festeggiare i cent’anni, Barnet continua a lavorare al suo studio di New York. Con i pennelli ha scritto parte della storia dell'arte del secolo scorso. È passato molto tempo da quando quel ragazzo è arrivato da Boston a New York con dieci dollari in tasca e un portafoglio pieno di paesaggi e ritratti del gatto di famiglia. Barnet ha aperto quel portafoglio nel 1931, sperando di capitalizzare su una borsa di studio presso l'Art Students League. Voleva diventare un pittore moderno americano in una città americana del ventesimo secolo. A suo arrivo in città iniziò a dipingere i volti tristi e arrabbiati, risultanti degli anni della Depressione, che poteva vedere in ogni angolo. I suoi primi anni sono stati caratterizzati da un crudo realismo sociale. Ma il lavoro di Barnet è passato attraverso tante fasi diverse come il nostro tempo. La sua carriera è iniziata con gli autoritratti dipinti nella cantina dei suoi genitori "alla maniera di Rembrandt, con la luce sopra la spalla sinistra." Nel corso degli anni, il suo lavoro è stato trasformato dal realismo sociale all'astrazione. Dal 1945 e per quindici anni ha prodotto una straordinaria opera sulla base di motivi biomorfe e geometriche. Ha fatto anche parte del gruppo American Abstract Artists, dedicato all'astrazione geometrica. Nel suo momento migliore, ha camminato dalla pura astrazione alla pura figurazione ed ha ritornato da capo. Negli anni Sessanta, la figurazione è ritornata sul suo lavoro ed è rimasta, con eccezioni, fino ad oggi.
Figurazione e astrazione sono parte dello stesso pezzo nei suoi quadri: "Mother and Child" (1961), un ritratto stilizzato di sua moglie e la figlia, integra gli angoli, curve e spigoli della sua precedente pittura astratta, ma con caratteristiche personalizzate di ritratto. In "Donna che legge" (1970), una delle sue opere più riprodotte, si vede una ragazza sdraiata sul letto a leggere un libro blu con il suo gatto bianco. Barnet utilizza ampie zone di colore piatto, semplificando le forme ed i dettagli in un lavoro a metà tra le forme figurative e quelle astratte.
Ma se c'è qualcosa per cui Barnet è ampiamente riconosciuto (oppure riconoscibile) è per le sue incisioni. Fu professore di incisione della Lega fra il 1942 ed il 1979, dove Mark Rothko è stato suo allievo, ed è riuscito a sollevare l’incisione verso una forma d’arte di primo ordine. Le sue litografie, o le loro riproduzioni, hanno riempito i muri di migliaia di case negli ultimi decenni. Forse, inconsapevolmente, abbiamo visto il suo lavoro in numerose occasioni. Il Metropolitan, il Guggenheim, il Whitney, tutti hanno il suo lavoro, di solito però in magazzeno: "Gli artisti della mia natura non vengono mostrati lì, il Whitney non ha mostrato il mio lavoro per trent’ anni", ha detto l'artista in un'intervista con il New York Times.
Mi vengono in mente tutti quei magazzini, tutti quei pezzi d’arte perduti fra centinaia di numeri di catalogo, perfettamente conservati e protetti, ma che forse i nostri occhi non potranno mai vedere. A Roma, la "quarta generazione" di Barnet appare quasi deserta, girando un angolo, mentre al di là di un paio di stanze la folla si ammassa attorno ai dipinti di Raffaello e Michelangelo. Forse è meglio così. Forse i personaggi dei suoi quadri si sentono grati di essere in grado di respirare da soli, intimi, con la sola compagnia della sua aura di nostalgia: "Tutti gli artisti devono avere qualcosa da dire. Il mio impegno è sempre stato alla umanità. Ho sempre voluto esprimere con la mia arte la fragilità della vita, registrare gli eventi che si svolgono nella propria vita, e la vita di coloro che la circondano. In questo modo si ottiene una proiezione della persona alle generazioni future. Di solito le persone lo fanno attraverso loro figli e nipoti, ma un artista lo fa attraverso la sua opera".

(Su Facebook: Will Barnet)